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sabato 29 ottobre 2011

IL GIUDICE AMERICANO


Una domenica di marzo mi è capitato di visitare Firenze da turista, ed avendola sempre frequentata per lavoro non la ricordavo così bella, così internazionale!
Pensavo, mentre passeggiavo e mi godevo lo splendore dei suoi monumenti, quale fosse il motivo che mi provocava disagio, ogni volta che dovevo raggiungere quel luogo non da turista.
Mi tornava così alla mente il traffico nei giorni feriali, l'impossibilità di raggiungere gli uffici che abitualmente frequento, a causa della loro disastrosa dislocazione in più punti della città.
In questo devo dire sono da oscar anche tante altre città in ogni parte della penisola.
Volevo parlarvi di Firenze in particolare, per il fatto che, finita la visita alla città, nel fare ritorno verso l'autostrada, sono rimasto colpito da una imponente costruzione che all'andata non avevo notato. Un'opera faraonica in vetro e cemento color marrone, con forme degne di un architetto giapponese. Ma cosa sarà mai mi sono chiesto? Avvicinandomi sempre di più con l'auto, ho scoperto l'arcano; un cartello di dodici metri quadrati informava che li sarebbe sorto il palazzo di giustizia! Non credevo ai miei occhi un intero quartiere dedicato alla legge degli uomini, vicino all'autostrada e con parcheggi da mille e una notte!
Dopo lo stupore iniziale il mio pensiero è andato immediatamente ad un brano del “maestro”, il quale nel 1954 descriveva la una scena che riporto di seguito.
Una volta a Firenze venne a fare una conferenza un giudice di una corte di New York.
Era all'inizio dell'estate: la sala al primo piano pareva un forno;
Il conferenziere nel salire ansimando le scale, dimostrava di soffrire il caldo.
Dopo la conferenza, mi accadde di ascoltare un dialogo amichevole tra il giudice americano e un suo collega italiano.
Domandava il giudice americano:
-avete l'aria condizionata nelle vostre aule?
-Non abbiamo aria condizionata.
-Avete l'ascensore?
-Non abbiamo ascensore.
-Avete un segretario particolare?
-Non abbiamo segretario.
-Avete una stenodattilografa?
-Non abbiamo una stenodattilografa.
-Allora un dittafono?
-Nessun dittafono.
Ma almeno una macchina da scrivere?
-Niente macchina da scrivere.
-E come fate allora a rendere giustizia?
Qui l'interlocutore italiano non gli disse che molti giudici italiani non hanno né una stanza appartata per sé, né un cancelliere disponibile, e talvolta neanche un tavolino: gli rispose con serena naturalezza:
io ho il mio ufficio in un vecchio casamento, che prima era un convento, all'ultimo piano. Tutte le mattine salgo centodue scalini: è una ginnastica che serve a sollevare lo spirito verso i cieli della giustizia. Lassù in estate si trova refrigerio nella nostra fredda logica: nell'inverno ci si riscalda al fervore della nostra coscienza. E le sentenze le scriviamo da noi, colla penna d'oca: è una fatica ma faceva così anche Bartolo”.
Brano tratto da “Elogio dei giudici scritto da un avvocato” Piero Calamandrei-Le Monnier 1954
Morale: non è mai troppo tardi per il condizionatore e l'ascensore! Il maestro Calamandrei ne sarebbe felice e forse anche il giudice italiano!
Peccato che per la stenodattilografa, la segretaria particolare e il cancelliere dovremo aspettare altri 55 anni!
Nicola Barone

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