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lunedì 17 ottobre 2011

IL SONNO DEI GIUDICI

Avevo promesso che avrei parlato del sonno dei giudici, senza ironia e con un unico filo conduttore, in un parallelismo fatto di riflessioni e confronti, tra quanto scritto dal grande Piero Calamandrei, tra il 1935 ed il 1954, e quanto accade oggi nelle stesse aule di tribunale e nella “cosa” pubblica in generale.
Il fine non è quello di criticare l’attuale sistema giudiziario italiano, ma quello di confronto tra quanto accadeva e quanto, con moto perpetuo, accade ancora oggi.
Non si stupiscano i lettori se ora come allora nulla è cambiato; se ora come allora tutto si trasforma e nulla si distrugge; ciò è nella naturale ragione dell’ essere del popolo italico.

Non si stupiscano i lettori se esistono tribunali come Torino, dove gli stessi uomini italici sono presi ad esempio dal mondo intero, per come funzioni bene la macchina della giustizia.
Non si stupiscano i lettori se esistono tribunali come Foggia (non è l’unico per la verità ma è preso solo ad esempio per la diretta esperienza), dove per una sentenza di primo grado non bastano undici anni (ammeso che nel frattempo il fascicolo non sia passato a miglior vita cioè sparito!!).
Nell’annosso ed ormai decotto discorso di chi sia la colpa di tutto ciò mi sovviene spontaneo riflettere e lasciare, come al solito, ai lettori il giudizio:
il ruolo di un giudice di Torino è almeno il doppio di quello di un giudice di Foggia, dove ruolo, per i lettori meno esperti di linguaggio giudiziario, sta per numero di cause affidate a quel giudice.
Ma allora di cosa parliamo!
Per fare un esempio pratico e banale:
mi capita spesso per lavoro di frequentare caserme di carabinieri e commissariati di polizia, orbene, entrambi i corpi vivono il disagio dei tagli alla spesa e la cosa è evidente appena varcato l’ingresso.
Balza subito agli occhi del visitatore, di trovare in sala di attesa divanetti in simil pelle bordeaux con braccioli in legno chiaro. Quelli che amorevolmente io chiamo in “stile ministeriale” anni settanta quando va bene, perchè quando va male sono dell’epoca della ricostruzione post bellica.
Andando poi avanti nella visita, colpiscono i computer obsoleti, ben adagiati sugli arredi di pari epoca.
Una cosa differisce però tra i due corpi, che pure dividono una sorte comune:
la dignità con cui i Carabinieri mantengono efficienti e puliti questi ruderi di arredi.
Non ho mai sentito un Carabiniere, in pubblico, lamentarsi di quello chè ha a disposizione, non ho mai visto una stazione dei Carabinieri sudicia o non imbiancata!
Mi capita spesso di vedere il contrario in certi altri posti e con ciò senza voler generalizzare.
Questione di educazione oppure è percepita diversamente, per impostazione, per disciplina, la res pubblica?
Una risposta l’avrei ma non oso renderla pubblica, per non toccare la sensibiltà di qualche lettore che potrebbe pensarla diversamente dallo scrivente.
Come promesso vi lascio con tre “perle” dell’l'unico avvocato che con sopraffino gusto ha elogiato i giudici criticandoli.
Ciò da precisamente il polso della situazione e rende vero quanto appena accennato.

STORIA DI ROCCO SALVATORE
Su una delle colonne dell’atrio della Cassazione dinanzi alle porte delle aule penali, ho letto io, coi miei occhi, una ventina di anni fa, questa annotazione a matita, che vi restò parecchi mesi ( la riferisco a mente, senza gli errori dialettali che vi abbondavano):
io Rocco Salvatore
venuto con un lungo viaggio
dal paese mio
per assistere all’udienza
della mia causa
entrai li dentro
ci stetti in piedi tre ore
vidi la Corte
dormire
rigettare
dormire.

IL BIBUNALE
Non so se la parola tribunale abbia la sua radice etimologica nel numero tre, come l’assonanza potrebbe far credere:
tribunale, perchè è composto da tre giudici.
Probabilmente l’etimologia è un’altra; ma un avvocato che non aveva l’obbligo di essere glottologo, alzandosi a parlare dinanzi un tribunale in cui uno dei giudici s’era addormentato saporitamente, pensò che fosse più appropriato cercare l’etimologia, anzichè nel ter, nel bis: e cominciò rivolgendosi ai due veglianti:
_signori del BIBUNALE……………

DALL’OTTICO
Un giudice entrò da un ottico e chiese:
-Vorrei degli occhiali neri, molto neri.
-Occhiali da sole?
-No ancora più neri: occhiali da sonno.

Brani tratti da “Elogio dei giudici scritto da un avvocato” Piero Calamandrei edito da Le Monnier terza edizione 1954..
Questioni di uomini o di leggi? Dura lex, sed lex!

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